ASPMI registra un’importante vittoria in tutela delle famiglie dei militari, facendo rivedere di fatto l’interpretazione data dall’amministrazione in merito all’articolo 42 bis del dlgs n. 151 del 2001 per la parte che esclude dal diritto all’assegnazione temporanea il personale non assunto a tempo indeterminato.
Ma come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia Ue non possono esserci discriminazioni tra il personale assunto a tempo determinato e gli indeterminati, principio che ASPMI stessa ha voluto tutelare in ogni sede di giudizio fino a quando – con una storica sentenza del Consiglio di Stato che cambierà ogni futura forma d’interpretazione del suddetto presupposto normativo – non ha visto valere le proprie ragioni.
Trasferimento Vfp1 e Vfp4, la prassi del ministero della Difesa
Andiamo con ordine: l’art. 24, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede che “Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. Nonostante ciò il Ministero della Difesa da sempre nega l’assegnazione temporanea – ex articolo 42 dlgs n. 151/2001 – ai volontari in ferma prefissata in quanto non assunti a tempo indeterminato.
Eppure l’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE afferma che per quanto riguarda le condizioni di impiego i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
Il fatto di essere un militare in servizio temporaneo anziché permanente può essere considerata una ragione oggettiva per negare tale diritto? Secondo ASPMI no, ed è per questo che ha intrapreso un’impegnativa battaglia legale in tutela dei volontari e delle loro famiglie, la quale – come anticipato – ci ha visti vincitori.
Trasferimento Vfp1 e Vfp4, la storica sentenza del Consiglio di Stato
Il contenzioso era iniziato con una dura sconfitta: secondo il Tar del Lazio (sezione prima), infatti, tale discriminazione era assolutamente legittima, tanto che con ordinanza cautelare n. 2456/2023, ha rigettato la domanda cautelare avanzata da un Vfp4 con il ricorso proposto avverso il rigetto della istanza.
Una sentenza che tuttavia non ha portato alla resa: grazie alla tenacia del lavoratore discriminato e al deciso supporto del sindacato ASPMI che affida la tutela dei propri iscritti all’ Avv. Maria Immacolata Amoroso, la questione è stata sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato che si è pronunciato a seguito dell’impugnativa della suddetta ordinanza cautelare.
La sezione seconda dell’Organo di Appello, in riforma dell’ordinanza impugnata, ha accolto l’istanza cautelare di primo grado condividendo le argomentazioni dell’appellante, sottolineando che la disparità di trattamento in causa debba essere giustificata da elementi precisi e concreti che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi nel particolare contesto in cui si inscrive e in base ai criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità e risulti a tal fine necessaria.
Nel caso concreto la maternità e la paternità del personale della pubblica amministrazione, compreso il personale militare, devono trovare tutela alla luce della normativa europea e della tutela costituzionale dell’interesse del minore e nessuna ragione oggettiva può ostare a questa tutela.
Una sentenza che farà giurisprudenza, visto che d’ora in avanti le amministrazioni dovranno attenersi all’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato.
Il dialogo tra le Corti è ancora travagliato e contrastante, ma a noi piace pensare che questa pronuncia sia un ulteriore, fondamentale passo, verso l’applicazione incontrastata di capisaldi comunitari.