Modifica del Codice dell’Ordinamento militare con il Ddl Nordio. Bene, ma non basta

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La Camera dei Deputati ha approvato definitivamente, con 199 sì e 102 no, il cosiddetto disegno di legge Nordio, per la cui entrata in vigore manca ormai soltanto la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Il ddl Nordio introduce modifiche non soltanto alla procedura penale, al Codice penale e all’ordinamento giudiziario ma anche al Codice dell’ordinamento militare

ASPMI si ritiene particolarmente soddisfatta su quest’ultimo punto, facendo riferimento in particolare alla modifica dell’articolo 1051 del Codice dell’ordinamento militare che, così come previsto, sottrae dall’aliquota di avanzamento e dall’avanzamento stesso il militare “rinviato a giudizio o ammesso a riti alternativi per delitto non colposo”. 

Ecco che, nonostante la presunzione di innocenza del nostro ordinamento e la previsione di tre gradi di giudizio, diversi militari hanno dovuto patire le conseguenze di accuse false e mosse con il solo scopo di ottenere ritorsioni personali, rivelandosi poi innocenti. 

È stato fin troppo facile dar adito a rappresaglie e contrasti con denunce pretestuose e segnare così indelebilmente la carriera del militare, nonostante tutti i sacrifici resi durante il servizio.

Niente sospensione dell’avanzamento per i militari rinviati a giudizio

Questa Associazione sindacale non può quindi che accogliere in modo estremamente positivo la modifica al Codice dell’ordinamento militare, promossa sapientemente dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Nel dettaglio, la lettera a (sopracitata) del 2° comma dell’articolo 1051 del Codice dell’ordinamento militare viene così sostituita:

“Nei cui confronti sia stata emessa, per delitto non colposo, sentenza di condanna in primo grado ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta o decreto penale di condanna esecutivo, anche qualora la pena sia condizionalmente sospesa”. 

La conseguenza è storica: i militari che sono stati soltanto rinviati a giudizio per un delitto doloso, o comunque ammessi a un rito alternativo, non avranno pregiudizi e saranno inseriti nell’aliquota di avanzamento. Quest’ultima, invece, resta preclusa soltanto in caso di condanna di primo grado e, ovviamente, applicazione della pena su richiesta o decreto esecutivo di condanna. 

L’esigenza precauzionale di sospendere la progressione di carriera è così mantenuta, ma limitatamente all’ipotesi in cui il militare riceva almeno una condanna in primo grado. Al contrario, appariva del tutto iniquo applicare la sospensione anche in caso di mero rinvio a giudizio, di per sé inconcludente sul tipo di responsabilità. Si finiva così per arrecare un grave danno al personale militare, soprattutto tenendo conto delle lunghe tempistiche processuali. 

Si dava così la possibilità a chiunque avesse del risentimento o un possibile tornaconto di ledere il militare in una delle componenti più importante e sacrificante della vita di chiunque lavori in una Forza Armata, ledendone la reputazione e la dignità e pregiudicando il suo futuro professionale, al di là dell’eventuale successiva assoluzione.

Resta il problema della sospensione dell’impiego

La soddisfazione per l’entrata in vigore delle modifiche previste dal ddl Nordio, tuttavia, non ci distoglie da un problema altrettanto grave e direttamente correlato. Si tratta ovviamente dell’istituto dei provvedimenti cautelari che, come strutturato, spesso comporta la sospensione dall’impiego del militare accusato. Non soltanto la sospensione per i militari può arrivare fino a 10 anni, ma nella maggior parte dei casi non si tiene nemmeno conto della gravità dell’ipotesi di reato e della tipologia stessa del delitto contestato. 

Questo problema va sanato al più presto, perché altrimenti anche l’intento di giustizia promosso dal ddl Nordio perde efficacia. I militari rinviati a giudizio non subiranno ripercussioni nell’avanzamento di carriera fino all’eventuale condanna di primo grado, ma nel frattempo potranno essere sospesi, con tutti gli effetti – anche economici – del caso.

Nel dettaglio, si deve distinguere tra la sospensione precauzionale obbligatoria, che non lascia spazio a discrezionalità, e quella facoltativa, prevista invece laddove il reato contestato al militare possa comportare la perdita del grado. 

Quando il reato in questione non è tipico, non essendo contemplato dal Codice penale militare di pace o di guerra bensì dal Codice penale, la discrezione è piuttosto ampia. Il provvedimento della sospensione è estremamente invasivo e non è più ammissibile che un militare debba subire tali conseguenze soltanto per un’imputazione, ancor prima che ci siano stati i debiti accertamenti.