In questi giorni si sta discutendo molto di una sentenza del Tar Veneto, generando non pochi fraintendimenti. Ci riferiamo in particolare alla sentenza n. 00254/2023 del 24 febbraio 2023 emanata dalla sezione Prima del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto. Si tratta di un precedente davvero unico nella giurisprudenza amministrativa, in quanto legittima l’apertura della partita Iva da parte di un dipendente della Polizia di Stato nell’ambito dell’attività agricola.
Presentata in questi termini la questione appare fuorviante, in quanto i dipendenti pubblici, soprattutto poliziotti e militari potrebbero essere tratti in inganno. La possibilità di svolgere un secondo lavoro di tipo imprenditoriale e/o commerciale resta preclusa. Prima di lasciarsi coinvolgere dall’entusiasmo per fantomatiche possibilità di ricorso, invitiamo ad andare oltre il titolo e informarsi adeguatamente sul contenuto della sentenza. Noi di ASPMI ovviamente l’abbiamo letta e siamo qui proprio per darvi tutte le indicazioni del caso, consapevoli che questo argomento interessa molto il personale militare.
Partita Iva ai dipendenti pubblici: cosa dice davvero la sentenza
La sentenza n. 00254/2023 del Tar Veneto accoglie il ricorso di un dipendente della Polizia di Stato. Il lavoratore ha così ottenuto l’annullamento del diniego del nulla osta all’apertura della partita Iva per un’attività agricola. I giudici hanno quindi ritenuto legittima l’attività, non incompatibile con il ruolo ricoperto dal ricorrente. Si tratta, tuttavia, di un caso davvero molto particolare e non comune. Il ricorrente rientra infatti nella definizione di imprenditore agricolo, senza però esercitare le attività di commercializzazione inconciliabili con lo status di dipendente in servizio della Polizia di Stato. Il personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate non può infatti esercitare attività di tipo professionale o commerciale, data la priorità del pubblico impiego.
Esistono casi specifici in cui militari e poliziotti possono svolgere un secondo lavoro, ma mai che richieda un impegno costante e continuo, caratteristiche che di norma sono automatiche conseguenze dell’apertura di una partita Iva. Il dipendente della Polizia di Stato che ha presentato il ricorso, tuttavia, ha dimostrato di avere necessità della partita Iva per continuare a coltivare i terreni in proprietà e conservare l’azienda agricola di famiglia, ereditata alla morte della madre. In questo caso, l’apertura della partita Iva si è posta come adempimento burocratico necessario per acquistare materiali di consumo, assumere l’intestazione dei macchinari agricoli ereditati e rimanere socio viticoltore di una cooperativa cui conferire la propria produzione.
Imprenditore agricolo, ma senza commercializzazione
Lo status di imprenditore agricolo è rimasto circoscritto alla conservazione dell’impresa familiare, con la cessione integrale della produzione ricavata dai fondi di proprietà a un unico operatore. In questo caso specifico viene quindi a mancare il carattere della commercializzazione. La giurisprudenza riconosce infatti che le attività legate alla valorizzazione del terreno e alla commercializzazione dei soli prodotti lì coltivati non comportano in automatico la definizione dell’impresa agricola come commerciale.
Il ricorrente non esercita quindi una vera e propria attività di impresa commerciale. L’attività è infatti limitata alla conservazione del patrimonio e in particolare dell’impresa agricola di famiglia, richiedendo un impiego di tempo marginale e discontinuo, peraltro con ricavi molto modesti. In altre parole, il dipendente della Polizia di Stato non agisce come imprenditore agricolo, avendo un obiettivo diverso dalla massimizzazione dei profitti. Semplicemente, manda avanti l’impresa agricola familiare vendendo esclusivamente i prodotti coltivati sui propri terreni, tutti ad unico operatore, in altra parte destinati al consumo personale.
Cosa cambia con la sentenza del Tar Veneto?
Come anticipato, si tratta di una situazione molto specifica, la cui interpretazione non può essere applicata in linea generale. La sentenza amministrativa chiarisce che il divieto sull’apertura della partita Iva dipende dal modo in cui questo adempimento caratterizza l’attività lavorativa: prevalente, continua, professionale, finalizzata all’impresa o al commercio. Tutte caratteristiche incompatibili con il servizio presso le Forze Armate e di Polizia. La sentenza del Tar Veneto deve essere letta in tutta la sua eccezionalità, trattandosi di un caso a dir poco unico in cui mancano le finalità commerciali nonostante la partita Iva. Ecco perché invitiamo a non ricavare da questo caso significati e conseguenze irrealistiche. L’articolo 894 del Codice dell’ordinamento militare stabilisce che:
La professione di militare è incompatibile con l’esercizio di ogni altra professione, salvo i casi previsti da disposizioni speciali. È altresì incompatibile l’esercizio di un mestiere, di un’industria o di un commercio, la carica di amministratore, consigliere, sindaco o altra consimile, retribuita o non, in società costituite a fine di lucro.
Prima ancora, l’articolo 98 della Costituzione italiana impone ai pubblici impiegati il servizio esclusivo della Nazione. Serve quindi molta attenzione, tenendo conto che l’apertura della partita Iva è in linea generale vietata a tutti i dipendenti pubblici, sulla base dell’esclusività del rapporto prevista anche dal Testo unico del pubblico impiego. I lavoratori devono infatti preservare l’imparzialità e il prestigio dell’Amministrazione rappresentata, assicurandone il funzionamento ottimale. Una seconda attività lavorativa abituale, presupposto della partita Iva, è quindi inconciliabile pressoché in ogni caso.
Partita Iva ai militari: in sintesi
La sentenza richiamata riguarda di fatto una circostanza rara e difficilmente irripetibile, dovuta anche alle particolarità del lavoro agricolo a conduzione familiare. Quest’ultimo è concesso (o per meglio dire può essere autorizzato) sulla scia della circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 6/1997, purché l’attività sia svolta senza interferire da nessun punto di vista con il servizio presso l’Amministrazione pubblica. Viene quindi vietato al dipendente, poliziotto o militare nel nostro caso, di esercitare l’attività come coltivatore diretto o imprenditore agricolo.
Ruoli che richiedono tempo e sforzi massicci, esclusa l’eccezione sollevata dal Tar Veneto: il mantenimento (o l’apertura) della partita Iva, che altrimenti non sarebbe necessaria, per la sola gestione e conservazione dell’impresa agricola di famiglia e senza intento commerciale. In conclusione, chi non si ritrova precisamente in questa situazione non trae alcun beneficio dalla sentenza in esame, nemmeno per le possibilità di ricorso. Per i militari che si trovano in situazioni di dubbio o hanno delle preoccupazioni su questioni legate alla compatibilità di altre attività di lavoro ricordiamo dunque il nostro servizio di tutela legale gratuito, gestito da esperti del diritto militare.